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Da: Zio Fester
Date: venerdì 15 novembre 2002
Time: 09.33.54

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prelato è accusato di aver sottratto 600 milioni dalle Opere di religione dell'arcidiocesi partenopea

Otto mesi di reclusione per appropiazione indebita: questa la condanna chiesta per l'arcivescovo di Napoli, Cardinale Michele Giordano, dal sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Potenza, Modestino Roca. Il pubblico ministero ha chiesto anche che al Cardinale non siano riconosciute le attenuanti generiche e che gli sia inflitta un' ammenda di 500 euro. Davanti alla Corte di Appello è all'esame il ricorso presentato contro l'assoluzione del presule decisa il 22 dicembre 2000 dal giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Lagonegro (Potenza), Vincenzo Starita. Al termine di un processo svoltosi con il rito abbreviato, il gup assolse il Cardinale e il nipote dalle accuse di associazione per delinquere finalizzata all'usura e appropriazione indebita. Nel maggio del 2001, la Procura della Repubblica di Lagonegro presentò appello contro la sentenza del gup, limitatamente all'accusa di appropriazione indebita a carico dell'arcivescovo di Napoli. Nel pomeriggio, Roca ha parlato circa un'ora, spiegando perché - secondo la Procura generale - il Cardinale ha commesso il reato di appropriazione indebita dei 600 milioni attraverso l' avvocato Aldo Palumbo, amministratore dell' ufficio Opere di religione, che è morto da tempo. Il denaro fu prelevato con tre assegni di 200 milioni di lire ciascuno: i soldi dovevano essere usati per sanare i debiti del fratello del cardinale, Mario Lucio Giordano, presso l'agenzia di Sant' Arcangelo (Potenza) del Banco di Napoli.


Aggiornato il: 24 febbraio 2010