Piedi

Da: Gianluca
Date: martedì 11 febbraio 2003
Time: 09.37.52

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Piedi

Nel primo anno dei Sessanta lui nacque. La gente del villaggio, decisamente bigotta, si diede subito da fare per mettere in croce i poveri genitori che sembravano divertirsi a sfornare pargoli, incuranti del destino di miseria che li attendeva inesorabile. Il neonato, poi, mostrò subito serissimi problemi di salute. Una rara malformazione cerebrale lo portava a calciare qualunque cosa gli cadesse sul piedino sinistro, a colpirla ripetutamente e a impedirle di cadere per terra come Newton avrebbe normalmente voluto.

Fu per questa ragione che lui non ebbe mai una vera e propria infanzia. I bambini della sua età si resero conto che era inutile giocare con lui. Era come pretendere di vincere al gioco dell’Oca contro quello che ha fissato le regole e conosce tutti i trucchi. Oppure proporre al libretto di istruzioni di montare un giocattolo. Anche perché lui aveva scoperto che tutti palloni del mondo lo pregavano di carezzarli con i piedi, le cosce e le spalle e di lanciarli in aria con piccoli tocchi della fronte. Lo supplicavano di colpirli e farli volare sulle teste degli uomini e farli atterrare nelle morbide reti che tutti i campi avevano. Per quanto imbarazzante fosse, quelle sfere di cuoio si disperavano e facevano le scenate se lui non li massaggiava con le sue scarpe.

Fattosi grandicello notò che tante persone si presentavano nel villaggio per chiedere di lui. Eppure non aveva fatto nulla di speciale. A parte vincere tutti i tornei ai quali partecipavano quelli che, come lui, erano perseguitati dai palloni. A parte far crollare per sempre il detto “altezza mezza bellezza”. A parte costringere gli scienziati a rivedere tutte le loro teorie. A parte dimostrare che il vero genio è colui che dà le risposte prima che gli altri si pongano il problema di farsi le domande.

Quando giunse in Europa, molti sorrisero dicendo che i palloni del Vecchio Continente avevano la puzza sotto il naso, erano tipi tosti, che non si facevano incantare facilmente. Dei veri duri. Niente a che vedere con le femminucce capricciose del Sudamerica. Dopo pochi giorni furono costretti a organizzare un’asta per decidere chi di loro dovesse avere l’onore di ricevere i suoi calci in faccia. La spuntarono gli Italiani.

E qui cominciarono i guai. Andò a vivere in una calda città del Sud. Andò a lavorare nello stadio di un popoloso quartiere. Subito gli abitanti iniziarono a manifestare strani sintomi: euforia, voglia incontenibile di cantare, innamoramento, desiderio di paternità, ossessione per il tango, miraggi, allucinazioni, saltelli, feticismo, ricerca ossessiva di parrucche ricce, dedizione totale per il 10 e i suoi multipli. Soprattutto le traiettorie dei palloni avevano reso strabiche centinaia di persone. Giovani e vecchi. Per reazione tutti i difensori e i portieri delle altre città lo denunciarono, dicendosi vittime del reato di circonvenzione di incapace. Nella sentenza che lo assolveva con formula piena, i giudici spiegarono che lui non poteva essere punito perché “il fatto sussiste ma è troppo bello”.

In quegli anni le zebre e gli agnelli rischiarono l’estinzione. I diavoli furono messi in cassa integrazione. Con un grande slancio di solidarietà furono raccolti fondi in favore delle famiglie Zenga, Tacconi, Baresi e altri casi umani. In quegli anni gli asini volavano e a nessuno sembrava strano.

Poi , certo, qualcosa cambiò. Forse fu per l’età. Per le cattive compagnie. O forse perché era stanco di fare la foca ammaestrata. Fatto sta che scomparve dalla circolazione e al suo posto iniziò a girare per le strade un sosia usurpatore. Grasso, brutto, drogato, fedifrago e senza un briciolo del suo fascino di seduttore dei palloni. Nessuno si accorse del geniale scambio di persona. E tutti fecero la morale a tutti.

Quando, dopo tanti anni, morì, le figlie, entrambe docenti universitarie a Oxford, resero note le vicende dei suoi ultimi anni. Aveva divorato centinaia di libri. Si era iscritto all’università della terza età, al Rotary e a un corso di aerobica. Era diventato uno specialista del barbecue. E testimonial pubblicitario dell’Aspirina. Fino a pochi giorni prima della fine, se qualcuno glielo chiedeva, lui smetteva per un attimo di avere l’Alzheimer, prendeva il pallone del nipotino e lo faceva innamorare ancora.

Gianluca D’Angelo


Aggiornato il: 24 febbraio 2010