• ANSU SESAY , “BENEDETTO” DAGLI DEI DEL BASKET •

27/1/2006

(ESCLUSIVA dal mensile di gennaio RAUL D'AMATO / foto Felice De Martino) - “A Blessed Child”, un bambino benedetto. È questa la risposta di Ansu Sesay sul significato del suo nome che, tra l’altro, porta anche tatuato sul braccio. Nato a Greensboro, nel North Carolina, da genitori originari della Sierra Leone che hanno voluto regalargli un nome che ricordasse le loro origini e che si è dimostrato veritiero, almeno per il basket. Una mano – la sinistra - dolcissima e movenze da pantera, distribuiti su 205 centimetri di un fisico esile ma che gli permette una versatilità di ruoli che è uno dei suoi punti di forza. Uscito nel 1998 dal college di Mississipi, è stato il secondo giocatore di quella università, con Elston Turner, a sorpassare i 1000 punti, 600 rimbalzi e 200 assists. Un anno prima, nel 1997, aveva vinto la medaglia d’oro alle Universiadi disputatesi in Sicilia, con la selezione Usa che allineava anche Earl Boykins, Scott Padgett e Loren Woods. La NBA sembra la sua ovvia destinazione, visto il pedigree e la sua classe. Viene scelto dai Dallas Mavericks, al secondo giro, con il numero 30 del draft 1998 ma, nonostante il buon training camp disputato, i Mavs non gli danno un contratto. Ansu decide di giocare nelle leghe minori americane: prima due anni in CBA poi, dopo un’esperienza estiva nelle Filippine, nella NDBL. “Non erano certo campionati dello stello livello della NBA, ma ci sono molti giocatori validi ed è sempre difficile mettersi in mostra” racconta Sesay. Con il suo talento ci riesce benissimo: vince il titolo della NDBL con i suoi Greenville Groove, aggiudicandosi anche il trofeo di Mvp della lega. Stavolta la chiamata nel massimo campionato professionistico arriva: va nei Seattle Supersonics, dove resta per due stagioni. “In quell’occasione ho rinunciato a un accordo praticamente concluso con Siena. Ma non potevo perdere l’occasione di giocare con Ray Allen, Gary Payton e Rashard Lewis. Con Rashard sono rimasto ancora in contatto”. Poi un altro anno con i Golden State Warriors dove però gioca raramente. Viene rilasciato e stavolta nel nostro paese ci arriva per davvero, accettando l’offerta di Roseto affiancando Abdul-Rauf, uno che la NBA l’ha masticata a lungo. In Italia gioca da ala forte e il suo impatto è di quelli consistenti. “Non ho problemi a giocare da secondo lungo, ma preferisco muovermi da ala piccola” afferma deciso. Durante l’ultima estate firma con Napoli, non prima di aver inutilmente provato a tornare nel campionato dei sogni di tutti i giocatori. Il suo ‘sbarco’ nella nostra città viene continuamente rimandato, fino a diventare quasi una piccola Odissea. “Ho aspettato la nascita di mio figlio; poi c’è stato l’uragano su Houston che ha bloccato la città per diversi giorni” ricorda. Ha saltato così tutta la preparazione atletica, pagando il ritardo di condizione con un inizio di campionato in tono minore. “Non ero a posto fisicamente e dovevo ancora conoscere tutti i miei compagni”. Ora il suo rendimento è cresciuto in misura esponenziale e ha conquistato il PalaBarbuto a suon di ‘ventelli’.
 

 

 
 
 

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