Alessandro Renica, 

 “Il libero Fenicottero”

              

Nato ad Anneville (Francia) il 15-09-1962, ma Veronese d’adozione inizia ad accarezzare l’idea di fare il calciatore professionista quando viene ingaggiato all’età di 13 anni dal L.R. Vicenza. Qui compie tutta la trafila nelle varie formazioni giovanili fino ad esordire a Cagliari il 19-12-1982 (Cagliari – Sampdoria 1-0).  

L’emergente Sampdoria di Paolo Mantovani, deciso a far entrare per la prima volta nell’elite del calcio italiano la squadra ligure, l’acquista per la stagione 1982-’83 e proprio per la Sampdoria, neo-promossa in serie A, realizza la prima delle sue diciotto reti in serie A (numero alto per un difensore) ai danni della squadra della sua città (Verona-Sampdoria 1-1 del 15-01-1983).  

Nel campionato 1983-’84 Renzo Ulivieri lo schiera sempre più spesso nell’undici titolare blucerchiato, a conferma dei suoi continui miglioramenti, anche se qualche tifoso doriano storce ancora la bocca di fronte ai suoi numerosi “raids”, offensivi che qualche volta mettono in crisi la retroguardia.  

Cambio in panchina per la stagione 1984-’85; arriva il “sergente di ferro” Eugenio Bersellini che lo schiera ripetutamente come terzino preferendogli nel ruolo di libero Luca Pellegrini, dotato sì di maggior classe rispetto ad Alessandro, ma soggetto a frequenti “stop” per il suo ginocchio ballerino.  

Renica non gradisce particolarmente questo “new deal”, cosicchè accetta ben volentieri la corte di quella vecchia volpe di Italo Allodi da poco arrivato sotto l’ombra del Vesuvio. Il suo grande temperamento unito ad un tiro d’incredibile potenza avevano convinto lo storico fondatore del “supercorso per allenatori” di Coverciano che poteva essere lui il libero per il grande Napoli che stava nascendo.  

In quel 1985-’86 (la sua 1ª stagione a Napoli) va subito in gol nel match della 3ª giornata contro l’Atalanta (1-0), impresa ripetuta anche nell’incontro con il Bari (1-0) del 26° turno.  

L’anno successivo è quello storico del 1° scudetto, e, nella rosa dei titolari, Alessandro è uno dei più presenti con 29 partite (1 rete).  

Lo scudetto rafforza sempre più l’idea generale che vede Renica come il miglior libero italiano, alle spalle di quell’inarrivabile fuoriclasse di Franco Baresi. Arriva anche la convocazione in Nazionale per l’incontro dei 29-11-1987 contro la Svezia. Alessandro però non coronerà mai il sogno di giocare un minuto in Nazionale A (8 viceversa le sue presenze con l’“Under 21”), irrimediabilmente chiuso dal mitico “Franz”.

  Proprio Baresi ed il suo Milan rappresentano l’unico irriducibile ostacolo fra gli Azzurri ed il 2° scudetto. Fino a 5 giornate dalla fine tutto va a gonfie vele (Napoli a + 4). Ma poi la maggiore freschezza  atletica del Milan nei confronti di un Napoli oltretutto dilaniato da feroci polemiche interne (è l’anno del famoso comunicato contro Bianchi) ha la meglio. Decisivo è il 3-2 con il quale i Rossoneri si impongono (il primo maggio 1988) a due giornate dal termine.  

Renica, comunque, non viene additato fra i maggiori “cospiratori” e resta saldamente al suo posto per la stagione 1988-’89 che vede gli Azzurri per la prima volta trionfare in Europa, conquistando la Coppa U.E.F.A. Più avanti spiegheremo la grande importanza di Renica in quella fantastica vittoria.  

Nel 1989-’90 un destino beffardo lo fa infortunare seriamente in occasione di una sua rete nel corso di un romanzesco 3-2 (0-2 alla fine del 1° tempo) contro la Fiorentina il 17-09-1989 e gli consente di disputare soltanto poche partite. Alessandro resta al palo per un lungo periodo nel corso di quell’annata, facendosi particolarmente rimpiangere in seguito ad alcune brutte sconfitte degli Azzurri (3-0 con Lazio e Milan, 3-1 con l’Inter) che mettono in serio pericolo lo scudetto-bis.  

Purtroppo Renica non riuscirà mai completamente a ristabilirsi da quel brutto infortunio e al termine del Campionato 1990-’91 (l’ultimo di Diego) viene ceduto al Verona, dove finalmente può difendere i colori della sua Città.  

Terminata la carriera di calciatore ha intrapreso l’attività di allenatore; proprio di questi giorni è la notizia della sua sostituzione sulla panchina del Chioggia, squadra Veneta di C/2 da lui allenata per quasi 4 anni in due diverse occasioni negli ultimi 5 anni.

 

 

Renica e la Juventus  

 

I colori Bianconeri gli portavano bene. Il 29 marzo 1987 al San Paolo era in programma Napoli-Juventus; gli Azzurri reduci dall’immeritata sconfitta di Milano con l’Inter (1-0) sentivano sul collo il fiato di Roma (a-3) e della stessa Juventus (a-5) Campione d’Italia uscente.  

Alla fine del 1° tempo, punizione per gli Azzurri a circa 25 metri a Tacconi. Diego tocca per Alessandro che tira cercando di imprimere tutta la potenza possibile. Il tiro però, forse a causa della notevole distanza, non sembra creare alcun pericolo per l’istrionico portiere Bianconero già proteso in ginocchio. Ma, proprio davanti a lui, la palla complice una benigna (per gli Azzurri) zolla di terra compie uno strano rimbalzo e va ad infilarsi in rete, passando sotto le gambe dell’esterrefatto numero 1 Bianconero.  

La partita terminerà poi 2-1 dopo il temporaneo pareggio di Serena seguito dal gol di Ciccio Romano in un San Paolo ebro di gioia. Anche la Roma perse quel giorno (1-2 ad Udine) ed ormai quel triangolino tanto a lungo inseguito sembrava prendere finalmente forma reale.

Il 15-03-1989 era in programma il ritorno dei quarti di finale di Coppa U.E.F.A. proprio contro la leggenda del calcio italiano. Al momento del sorteggio, che vedeva per la seconda volta un confronto fra due italiane in Europa, ben più preoccupato di Luciano Moggi era sembrato il d.s. Bianconero Francesco Morini, al secolo “Morgan”, mitico stopper degli anni ’70 targati “primo Boniperti”.  

Sia come nell’andata a Torino, per un casuale gol da fuori di Pasquale Bruno, detto “o’ animale” ed una sfortunata autorete di Gianfranco Corradini i Torinesi si erano imposti per 2-0 anche grazie ad una serata non certo memorabile di Diego e compagni.  

Gli Azzurri erano ancora in corsa per lo scudetto, ma l’Inter dei record era già a + 3 e sembrava (come dimostrò in seguito) inarrestabile. Lo stadio era, come sempre, esaurito e ribollente di passione. Tutti noi tifosi sapevamo quanto fosse difficile ribaltare il risultato dell’andata, ma sapevamo anche che in campo c’era il Napoli di Maradona. Perché non crederci?  

L’arbitro per la verità fu un po’ generoso verso gli Azzurri annullando un gol di “Miki” Laudrup per fuorigioco rivelatosi inesistente, e concedendo un rigore un po’ dubbio per un atterramento di Andrea Carnevale. Lo stesso Carnevale al 43° del 1° tempo raddoppiò la solita impeccabile esecuzione di Diego dal dischetto. A quel punto, colmato lo scarto dell’andata, la carica di Diego e c. logicamente si attenuò.

  La paura di prendere un gol che sarebbe stato irrimediabilmente decisivo frenava le due squadre. Nè la situazione cambiò nei restanti 45 minuti come durante i tempi supplementari, fino al 119° minuto.  

L’ombra dei rigori aleggiava speranzosa (o minacciosa?) sul San Paolo, quando Antonio Careca trova ancora la forza di recuperare una palla sporca sulla fascia destra riuscendo a trasformarla in un cross. Come un razzo, piomba sul pallone Alessandro Renica colpendolo in mezzo all’area di rigore non di testa, ma di spalla. Questo movimento innaturale spiazzò beffardamente Tacconi che si tuffò sulla destra, mentre la sfera di cuoio si infilava lemme lemme sulla sinistra.  

Fu spaventoso e bello sentire il boato gioioso, liberatorio, entusiastico del San Paolo. Il Napoli era in semifinale, aveva eliminato la Juventus.  

Bayern Monaco (in semifinale) e lo Stoccarda (in finale) nulla poterono contro l’onda Azzurra. Per la prima e, purtroppo fino ad ora, unica volta il Napoli aveva vinto un Trofeo Europeo, quello con più partite: la Coppa U.E.F.A.    

 

 

 

Emanuele Orofino                                       9/6/2004  

 

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