

“Seppelleteci qui”. Così recita il famoso libro di Raffaele Auriemma nel celebrare l’esaltante vittoria del Napoli a Torino contro
C’era un immenso prato verde infatti, dove undici leoni risiedevano in tutta tranquillità, nel proprio habitat, indisturbati. All’improvviso c’è stato il passaggio delle zebre, che hanno stuzzicato i leoni, i quali, infastiditi, sono accorsi con una velocità supersonica, sbramando le prede, lasciando sul posto i resti dei loro corpi.
“Morti e sepolti qui” dovevano recitare i manifesti bianconeri. Tanti ce n’erano nelle immediate vicinanze all’uscita dal prato verde. La tensione si tagliava col coltello poco prima delle 20.45, allorquando il “Re Leone” o “Re Pocho”, che dir si voglia, faceva il suo ingresso in campo insieme ai compagni, mentre l’altoparlante dello stadio lanciava le note di quel famoso pezzo dei Pet Shop Boys, che tanto faceva salire l’adrenalina e la convinzione che una “strage” calcistica si sarebbe consumata qualche paio d’ore più tardi. Bisognava vincere, non importa come, con quale modulo, con quale strategia. Servivano i tre punti.
I leoni azzurri avevano fame. Si notava dal momento del loro ingresso in campo, in un tripudio azzurro di sciarpe e bandiere misto al bianco dei flash delle fotocamere. Poteva essere la serata giusta, doveva essere quella giusta. Le zebre si son trovate a passare sul prato cercando di stuzzicare i leoni dopo una decina di minuti. Non l’avessero mai fatto.
Il “Re Leone” ha suonato la carica, dopo la pausa negli spogliatoi. Insieme a lui ce n’era un altro che aveva una fame bestiale, tanto lungo era il digiuno che lo assistiva. Si trattava del “Leone Fabio”; il leone buono (mica tanto…) per intenderci.
A sera inoltrata, con i suoi simili, ha eseguito una serie di cavalcate feline, culminate con l’azzanno dei poveri corpi bianconeri, squamati da cotanta ingordigia. Il domatore seduto in panchina sudava come in una notte di mezza estate. Infatti era lì, in maniche di camicia a tentar di sedare (invano!) le proprie feroci bestie. Ma ormai era troppo tardi. Il delitto era stato compiuto.
Al triplice fischio finale i leoni azzurri, ammansiti, facevano rientro nel proprio covo, mentre sugli spalti, gli assistenti allo spettacolo cantavano e gioivano. “Oi vita, oi vita mia…oi core e chistu core…..”. Si levavano al cielo i cori e i canti. Assordante il ruggito dei sessantamila. La notte azzurra era bella più che mai. E, col passar del tempo, il teatro di battaglia andava svuotandosi, fino a diventar completamente vuoto.
Rimaneva solo un silenzio grande, come quello che resta dopo una grande battaglia, e le carcasse delle zebre, lì, sul prato verde, dove s’era consumata la carneficina, contemplate dall’alto del cielo da una miriade di stelle, azzurre ovviamente.
di Enzo Coppola

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