

Il giorno 17 maggio 1989, un mercoledì, Stoccarda, aggraziata città attraversata da un fiume, adagiata fra colline e superba capitale della Mercedes, della Porsche, della Zeiss e della Bosch, tutto il vanto dell’industria tedesca, scoprì d’essere diventata Napoli.
Dalla stazione ferroviaria a fianco del grande parco cittadino, dall’aeroporto internazionale a sud della città, oltre la Torre della televisione che balza da un bosco fino a duecento metri dal suolo, dai caselli dell’Autostrada 8 un popolo non più tedesco ma napoletano invase la settima città della Germania con una popolazione metà di quella partenopea. Bandiere, cortei, automobili, striscioni e maglie da football colorarono d’azzurro strade e piazze. Percorsero la Konigstrasse, l’immensa strada dei re, si persero e si ritrovarono fra i Giardini reali e il Palazzo dell’artigianato, sostarono fra le aiuole e gli alberi dell’ampia Schlossplatz, curiosarono nella più piccola e pittoresca piazza col monumento a Schiller che perse per un giorno il carattere severo e silenzioso.
Quando tutto fu compiuto, con canti e gioia, e un passaggio nelle pizzerie dei napoletani di Stoccarda, le colonne dell’invincibile armata di Diego Armando Maradona si diressero verso i tre ponti che scavalcano il Neckar, un affluente del Reno di nobile origine nella Foresta Nera e di acque navigabili, per raggiungere lo stadio a forma ovale con due tribune dirimpettaie coperte e le curve a cielo aperto. Fu un lungo corteo che si incanalò nella Mercedesstrasse, oltre il fiume, in una serata dolce di sogno e d’avventura.
Quelli di noi che avevano cuori azzurri e memoria lunga si dettero di gomito. “Qui ci siamo divertiti già vent’anni fa quando la Coppa Uefa era la Coppa delle Fiere, ai tempi di Chiappella”. “E come no? Zoff in porta, una mediana di ferro con Zurlini, Panzanato e Ottavio Bianchi. Juliano e Montefusco mezz’ali casalinghe, e quel birbante di Josè Altafini centravanti”. “Ah, Josè. Ma te lo ricordi il suo siparietto proprio qui, nello stadio dello Stoccarda?”. “Certo che me lo ricordo. Un dannato di difensore tedesco voleva massacrargli le gambe e lo puntava in ogni zona del campo. Quando Josè lo vide arrivare di corsa per l’ennesima volta, a gamba tesa, si scostò con la movenza elegante di un torero e, nel silenzio dello stadio, gridò olè evitando il panzer”. “Il tedesco finì lungo per terra e nello stadio prima risero tutti, la risata immensa di 40mila bocche, poi un frenetico applauso festeggiò il geniale stratagemma di Josè”. “Erano tempi felici. Ci divertivamo senza vincere nulla”. “Sei preoccupato per stasera?”. “Va là. Vent’anni fa bastò Virginiuzzo Canzi per eliminare lo Stoccarda e vuoi che stasera …”. “Non dire più niente, porta male”.
La finale della Coppa Uefa 1989 in due partite, andata e ritorno, arrivò dopo che il Napoli era sfuggito alle trincee greche del Paok, aveva eliminato il Lokomotive di Lipsia coi gol di Francini, si era confuso ma se l’era cavata con un fulmineo gol di Carnevale contro il Bordeaux di Scifo e aveva compiuto il supremo miracolo di capovolgere a Fuorigrotta lo 0-2 beccato contro la Juve a Torino, quarti di finale, perdendo Maradona nei supplementari e sfondando la porta di Tacconi con un colpo di testa di Renica che fu il terzo gol del Napoli all’ultimo respiro della partita, dopo due ore di gioco.
La prima col Bayern al “San Paolo” fu una notte di nubifragio, pali, ansie, liberazione ed entusiasmo finale. Lo stadio di Fuorigrotta era una nave nell’oceano in burrasca. I tedeschi furono infilati due volte in contropiede. Il “ritorno” a Monaco in uno stadio per metà napoletano fu la replica del contropiede azzurro, due volte in gol con Careca sui lanci di Diego e al Bayern non bastò pareggiare. Eravamo in finale.
E apparve lo Stoccarda. Sembrava facile, ma nell’”andata” a Fuorigrotta uno scugnizzo di Frattaminore, Maurizio Gaudino, emigrato in Germania e peperino della squadra tedesca, impallinò Giuliani da venti metri, tradito il portiere da un rimbalzo del pallone che gli si infilò tra le braccia protese. L’improvviso silenzio sugli spalti fu scosso dal rullo dei tamburi dei ragazzi della curva B. Nella ripresa, il Napoli si avventò finché il pibe non mise in tutti i sensi le mani sul match.
Controllò il pallone nell’area tedesca col braccio sinistro e lo scaraventò sul braccio teso del terzino Schaefer. Quante ne inventava Diego che con le mani aveva umiliato l’Inghilterra e in Italia aveva fatto altri giochi di mano, giochi da sudamericano? L’arbitro greco Germanakos vide solo il fallo di Schaefer e Maradona tenne a galla il Napoli dal dischetto. Alla fine, l’arbitro disse: “Ero piazzato perfettamente. Maradona ha colpito la palla qui, sul petto”. Poi Careca, a tre minuti dalla fine, smarcato da Dieguito, spinse la palla in porta resistendo a un furente accerchiamento dei tedeschi. Germanakos lasciò il “San Paolo” molto soddisfatto e onorò il soggiorno napoletano con una notte di felicità.
Ed eccoci nella sera di Stoccarda, per una notte da leoni, sotto un cielo di stelle benevoli, la grande pista rossa dell’atletica attorno al rettangolo verde del calcio. Davanti allo stadio, un amalfitano balla con un gonnellino di paglia azzurra, una parrucca con lunghi capelli azzurri e il baffo metà bianco e metà azzurro. Un tifoso, soprannominato “il messicano” per l’immenso sombrero in testa grondante corna e amuleti vari, entra nello stadio facendo vibrare i suoi celebri piatti da banda di paese e porta con sé il turibolo contro il malocchio. Il numero 17 non ci impressiona. Il 17 maggio di due anni prima il Napoli aveva concluso ad Ascoli il campionato del primo scudetto.
Careca va in campo con 40 di febbre. A Maradona giunge una telefonata da Buenos Ayres: è nata Giannina, la seconda figlia. “Un segno fortunato” diciamo. La prima, Dalmita, nacque l’anno del primo scudetto, tre giorni dopo la vittoria sulla Juventus al “San Paolo”. “Le figlie portano bene”. “Vinceremo anche la Coppa Uefa”.
Trentamila napoletani fremono nello stadio tedesco. Anche loro hanno la febbre. E’ la febbre del tifo, di una passione infinita, una febbre d’ansia e di attesa. Un coro immenso si leva dagli spalti, un grande cuore azzurro palpita al Neckarstadion. Sopraffatti i canti dei tedeschi. Sopraffatto lo Stoccarda dalla fuga di Alemao, tic e tac con Careca, gol a carambola. Quelli pareggiano con Jurgen Klinsmann, figlio biondo di un panettiere, estroverso e ambientalista. Finirà all’Inter senza fortuna.
Sta per calare il sipario del primo tempo e il Napoli confeziona un gol che rimarrà a lungo nella memoria dei tifosi azzurri. Su corner, imbeccata di testa di Maradona (di testa, mio Dio, il nano di Lanus, di testa) per Ciruzzo Ferrara che si improvvisa centravanti. Volée di destro per un “fulmine” che incendia la porta di Immel. “Ma chi, chi ha segnato?”. “Ciroferrara, a ventidue anni”. “’O terzino?”. “’O guaglione ‘e via Manzoni”. “Ha segnato lui?”. “Segnato? Ha sfondato la porta, ha sfondato”. Si leva, prima dolce, poi potente e toccante, il coro di “oje vita, oje vita mia”. Lo stadio vibra in tutte le sue strutture, attraversate e scosse dall’immensa carica sonora dei napoletani. Una grande cassa armonica. I tifosi azzurri, con canti e balli, sembrano il doppio di quelli che sono.
Il Napoli va a tutto gas. Secondo tempo da putipù e scetavajasse. Careca a Maradona, a Careca ancora, in contropiede, e il brasiliano torea il portiere con implacabile eleganza. Tre a uno. Il Napoli molla la presa. La Coppa, ormai, è azzurra. Nando De Napoli spiana la strada del pareggio ai tedeschi infilando la porta di Giuliani (devia un tiro di Gaudino) e al 90’ lo Stoccarda salva l’onore col 3-3 di chiusura che assegna la Coppa al Napoli. Si scioglie l’Orso. Ottavio Bianchi comprime l’immensa gioia e dice: “Ringrazio i tifosi che hanno invocato il mio nome”. Maradona, che alla vigilia della semifinale a Monaco di Baviera aveva strappato a Ferlaino una promessa (“Se vinciamo la Coppa Uefa ti lascio andare al Marsiglia”), ci ripensa: “E’ bellissimo essere il capitano di questa squadra. Resterò fino al 1993”. Gerhard Mayer Vorfelder, presidente dello Stoccarda, che si era molto lamentato a Napoli per il trucco di Maradona e la vista dell’arbitro greco, ammette: “Giù il cappello davanti a un Napoli così grande”.
Nella notte di Stoccarda si celebra il più straordinario gemellaggio. Spaghetti e birra. Volti bruni e ragazze bionde. I tedeschi vanno a nanna, i napoletani sono dappertutto. La Konigstrasse è via Caracciolo senza il mare. La piccola Schillerplatz è Piazza dei Martiri senza i leoni. Il centro della città è Forcella e Posillipo. Karlsplatz, Marktpltaz, che è la piazza del mercato, Leonhardsplatz e la più grande Charlottenplatz sono rioni di Napoli. La stazione ferroviaria è chiusa e riaprirà alle quattro del mattino. Fuori dai cancelli i tifosi napoletani aspettano i treni del ritorno. Nessuno di loro dormì quella notte a Stoccarda. Troppo grande il peso della gioia per la conquista del primo trofeo europeo di prestigio, la Coppa Uefa.
Era il 17 maggio 1989. Il Pocho aveva quattro anni e Aurelio De Laurentiis, a quarant’anni, era ancora digiuno di cinepanettoni. Neanche le stelle stavano ancora combinando il nuovo corso del Napoli. Stoccarda 1989, ma che ne saprà mai herr Floccari che viene, non viene? Nato nell’anno in cui da noi arrivò Max Palanca coi piedini di fata (numero 36), uno così che vive a Bergamo che ne sa di Napoli e di Stoccarda? Napoli è una favola, guagliò.
Fonte: Repubblica
di PianetAzzurro.it

appunto
Di criswaddle - scritto il 18/05/2009 01:44:48
come detto vent'anni fa erano vent'anni fa ed oggi purtroppo è solo oggi...e come direbbe un celebre ed indimenticabile personaggio della comicità napoletana "ho detto tutto"!!